Lundi 17 août matin
Par Marco Reggio (intervention en italien avec traduction immédiate)
Marco Regggio milite dans la Coalition contre la vivisection dans les universités et est organisateur de la Veggie Pride italienne.
(version française plus bas)
Scopo dell'intervento è quello di far emergere prospettive ed aspetti critici della lotta alla vivisezione attraverso la presentazione di un'esperienza di opposizione alla sperimentazione animale condotta in Italia a partire dall'autunno 2007, la Coalizione contro la Vivisezione nelle Università.
Tale progetto si è delineato inizialmente intorno ad una campagna di pressione e controinformazione volta a far cessare la vivisezione in un singolo ateneo (Università dell'Insubria, Lombardia) ed ha quindi cercato di coordinare una rete di attivisti in varie università italiane, provando a coniugare l'esigenza di risultati tangibili (animali salvati grazie alla chiusura di specifici programmi di ricerca) con la necessità di perseguire obiettivi di più ampio respiro e di carattere politico.
Le strategie di pressione sulle istituzioni locali e l'intenso percorso di riflessione interno alla Coalizione hanno portato all'attenzione di parte delle realtà antispeciste italiane alcuni temi abitualmente relegati sullo sfondo della prassi di liberazione: dal carattere politico della lotta alla vivisezione al legame con i temi ed i movimenti sociali (pacifismo, ecologia, antirazzismo, protesta studentesca); dalla dialettica fra antivivisezionismo etico e scientifico al rapporto con le istituzioni, con le grandi associazioni e con i mass-media; dalla critica dell'impresa scientifica e del potere degli “esperti” al rapporto fra campagne di pressione ed istanze abolizioniste, fino alla riflessione sull'importanza delle relazioni orizzontali fra gli attivisti.
Dopo un anno e mezzo, il modello di “rete” fra campagne di pressione è stato abbandonato, a favore di un progetto (“BastaVivisezione”) di più ampio respiro, teso alla creazione di momenti di contestazione generale della vivisezione, di espressione di rivendicazioni a carattere non più localistico, di critica della vivisezione come pratica strutturale dell'attuale assetto sociale, culturale e politico.
(Approfondimenti e materiali della Coalizione sono pubblicati su: www.bastavivisezione.net)
Le but de cette intervention est de dégager certains aspects critiques et certaines perspectives de la lutte contre l'expérimentation animale, en présentant une expérience antivivisectionniste menée en Italie depuis l'automne 2007 : la Coalition contre la Vivisection dans les Universités.
Initialement, ce projet a pris forme autour d'une campagne de pression et de contre-information visant à faire arrêter la vivisection dans une seule université (Université de l'Insubria, dans la Lombardie). Ensuite, nous avons essayé de coordonner un réseau de militants dans plusieurs universités italiennes, dans le but de lier l'exigence de résultats concrets (sauvetage d'animaux suite à l'arrêt de programmes spécifiques de recherche) à la nécessité de poursuivre des objectifs de plus longue haleine et de caractère politique.
Les stratégies de pression sur les institutions locales et l'intense parcours de réflexion à l'intérieur de la Coalition ont porté à l'attention d'une partie du mouvement antispéciste italien des thèmes que la pratique de libération animale relègue souvent à l'arrière-plan : caractère politique de la lutte contre la vivisection et lien avec les thèmes et les mouvements sociaux (pacifisme, écologie, antiracisme, mouvement des étudiants) ; dialectique entre antivivisectionnisme éthique et antivivisectionnisme scientifique ; les rapports avec les institutions, les grandes associations et les médias, ainsi qu'une réflexion sur l'importance des relations horizontales entre les militants.
Un an et demi plus tard, le modèle basé sur un réseau entre campagnes de pression a été abandonné pour un projet plus global (« Bastavivisezione »), visant à la création de moments de contestation générale de la vivisection, d'expression de revendications non locales, de critique de l'expérimentation animale en tant que pratique structurale du système social, culturel et politique actuel.
(Pour en savoir plus sur la Coalition : www.bastavivisezione.net)
Ceci est le texte en italien lu par Marco Reggio ; pour un resumé en français, voir le compte-rendu des organisateurs.
Version en format pdf.
1) Linee generali del progetto
2) La campagna di pressione contro l'Università dell'Insubria
3) Riflessioni sull'esperienza
4) Un nuovo progetto: BastaVivisezione
Scopo del presente intervento è quello di proporre alcune riflessioni sulle prospettive di lotta alla vivisezione attraverso il resoconto e la discussione di un'esperienza fatta in Italia a partire dalla fine del 2007.
Come vedremo, l'esperienza in questione presenta molti spunti che ritengo interessanti al di là delle specificità nazionali e locali di tali lotte. Solleva contemporaneamente interrogativi di natura strategica, pragmatica e domande politiche di più ampio respiro. A queste domande né il sottoscritto né i partecipanti al progetto vogliono (e possono) fornire risposte certe e definitive: perlopiù, i problemi di cui parleremo sono stati affrontati nella pratica, senza ricette predefinite, andando quindi incontro a numerosi errori di valutazione o di impostazione, ma al contempo fornendo spunti di riflessione e di azione che campagne o progetti con le idee più “chiare” non avrebbero potuto fornire.
Il progetto della Coalizione contro la Vivisezione nelle Università nasce nell'autunno 2007 con l'intento di costituire una rete nazionale di attivisti per l'abolizione della vivisezione nelle università. Lo scopo è anche quello di creare e coordinare campagne locali contro l'uso degli animali nella ricerca pubblica, contro singoli esperimenti o singoli centri di ricerca accademici. La principale fra queste campagne è quella contro la vivisezione all'Università dell'Insubria (un piccolo ateneo nel nord-Italia) e l'ampliamento della sua sede di Busto Arsizio, di cui parleremo in dettaglio.
Gli attivisti che hanno avviato il progetto hanno individuato nella vivisezione, in quanto appropriazione violenta di corpi senzienti per la produzione di merci o saperi, una delle pratiche di sfruttamento più significative sul piano culturale, politico e quantitativo (solo in Italia, circa un milione di animali vengono utilizzati ogni anno).
Si è scelto di concentrare le energie nell'ambito delle università poiché queste sono il luogo in cui questa pratica assume una forma istituzionalizzata. Il profitto economico non ne è qui il movente esplicito, a differenza della sperimentazione privata, contro cui esistono da tempo in Europa e in U.S.A. campagne di pressione come la campagna S.H.A.C.. Contestare la vivisezione in tale contesto ha un maggiore valore simbolico: l'università come luogo di sapere pubblico legittima, in una società specista, l'uso di cavie in generale. Lottare per l'abolizione della vivisezione fra le sue mura, anche quando i risultati non fossero tangibili, significa erodere la rispettabilità e la giustificabilità dell'uso delle cavie e della reificazione dei corpi.
Vi sono naturalmente anche ragioni più pragmatiche per questa scelta. Il mondo accademico si compone di una molteplicità di soggetti che nelle aziende non esiste: tali soggetti hanno interessi diversi, diverse capacità critiche e diversi livelli di coinvolgimento nella ricerca o didattica con animali (studenti, dottorandi, ricercatori, professori, personale tecnico-amministrativo). Le differenze fra tali soggetti permettono, in un contesto di libertà di critica almeno formale, quale quello accademico, di suscitare dibattito interno inducendo gli individui critici a trovare forme di espressione del proprio disagio. La volontà, sbandierata dall'istituzione universitaria, di favorire il libero confronto di idee può poi essere invocata per trovare spazi di intervento pubblico, per informare gli studenti ed i lavoratori sulla realtà della vivisezione.
Questa premessa ci consente di capire perché anche le singole campagne, tra cui Offensiva all'Uninsubria, non si sono limitate – come le campagne contro i centri privati – alla pressione tesa all'interruzione di sperimentazioni o alla revoca di finanziamenti. A tale pressione, che assume sempre un carattere dichiaratamente conflittuale, si sono qui affiancate iniziative di controinformazione e di contestazione generale della sperimentazione animale.
Inoltre, intento della Coalizione è sempre stato quello di coniugare obiettivi locali e limitati con un approccio di più ampio respiro, che potremmo definire in senso generico antispecista o liberazionista. Come vedremo, non senza difficoltà di varia natura.
Per comprendere meglio l'approccio in questione, è necessario osservare più da vicino la campagna “Offensiva all'Uninsubria”.
La prima campagna locale (Offensiva all'Uninsubria) è stata quella intrapresa nell'autunno del 2007 contro la vivisezione all'Università dell'Insubria, con sedi a Varese, Como, Saronno e Busto Arsizio1. Quest'ultima sede è stata ed è il principale obiettivo, complice il fatto che qui esiste un cospicuo finanziamento pubblico alle ricerche su animali. Il Comune finanzia le ricerche e le attrezzature necessarie: ha reso disponibile ed arredato uno stabile di sua proprietà e sta ristrutturando ed arredando un analogo spazio per ulteriori ricerche. Per questo motivo, quando nasce la campagna, esiste già da alcuni anni una campagna di protesta organizzata dalla sezione locale della L.A.V., che chiede di modificare la nuova convenzione fra il comune e l'Università, inserendo una clausola che vieti la sperimentazione su animali2. In tal modo i finanziamenti verrebbero erogati solo per ricerca senza animali, mentre allo stato attuale la maggiorparte delle linee di ricerca si avvalgono della vivisezione, e sono orientate principalmente su 3 filoni di sperimentazione su ratti e topi:
- sperimentazione degli effetti dei cannabinoidi (i topi vengono messi su piastre roventi dopo aver loro iniettato alti dosaggi di tetra-idro-cannabinolo);
- sperimentazione di farmaci anti-tumorali a base di metalli pesanti;
- sperimentazione di molecole attive contro la Sindrome di Rett (rara sindrome genetica infantile i cui meccanismi e la cui diagnosi sono ancora non chiari).
In altre sedi del'Ateneo (Varese e Saronno) vengono utilizzati conigli, maiali e pesci, non solo per la ricerca, ma anche per la didattica.
Offensiva all'Uninsubria interviene per la prima volta in un consiglio comunale in cui denuncia le torture quotidiane che avvengono all'insaputa della popolazione locale e richiedendo una conferenza pubblica sul tema. Il primo obiettivo diventa quindi il Sindaco di Busto, che – cedendo alle pressioni dell'ateneo – si ostina a negare tale momento di confronto: viene contestato pubblicamente in diverse occasioni, fra le quali il concerto di capodanno, la sua partecipazione alle celebrazioni dell'Epifania (una befana antivivisezionista gli consegna un sacco di carbone), il carnevale cittadino ed altri ancora.
Il Sindaco è bersaglio di proteste telefoniche e telematiche continue: l'uso di diverse strategie di protesta e di comunicazione non sembra sortire l'effetto desiderato, anche se creano un clima di attenzione e interesse molto rilevante. Contribuisce a creare attenzione e preoccupazione fra i ricercatori il primo episodio di azione diretta illegale che avviene proprio all'inizio della campagna, con il danneggiamento delle sedi universitarie durante la notte di capodanno. Contrariamente a quanto si è verificato in altre campagne di pressione, tale azione rimane l'unica, pur avendo trovato grossa eco presso la stampa locale. Non si innesca, insomma, l'escalation di azioni dirette tipica di tali contesti.
La situazione si sblocca quando un attivista entra in sciopero della fame per ottenere la conferenza, supportato da centinaia di persone in tutta Italia: dopo quattro giorni il sindaco è costretto a cedere, mentre sale l'interesse della popolazione verso il tema della vivisezione all'Uninsubria. In questo periodo, i giornali locali e nazionali portano alla ribalta il caso; sale anche l'interesse del mondo animalista, che segue con attenzione la vicenda e sostiene da tutta Italia la protesta.
L'attenzione dell'Offensiva si sposta sull'università, con un presidio in occasione di un convegno internazionale di neurobiologia proprio presso la sede delle torture, dove alcuni contestatori intervengono leggendo la lettera aperta di un'attivista e chiedendo formalmente l'apertura dei laboratori al pubblico. Questa richiesta, che non verrà accolta, mostra la cattiva coscienza dei ricercatori. Le autorità accademiche sono costrette a giustificarsi più volte pubblicamente. In questi mesi, l'ateneo istituisce per la prima volta il Comitato Etico, che è un organo di cui le Università possono dotarsi per dare pareri sull'approvazione delle proprie ricerche dal punto di vista etico. Non pensiamo a questo passo come un risultato, ma come un riscontro dell'incisività della protesta: normalmente, peraltro, i Comitati Etici non vengono creati per gestire questioni legate all'uso degli animali, anche se talvolta esaminano aspetti legati al “benessere” degli animali da laboratorio (in questo caso, invece, viene inserito fin da subito fra i suoi membri un veterinario).
È degno di nota anche il fatto che i ricercatori, in uno dei momenti di maggior difficoltà, abbiano mobilitato i supposti beneficiari delle loro ricerche, mostrando un ulteriore aspetto della propria insensibilità alla sofferenza altrui. Durante il presidio nazionale davanti al congresso di neurobiologia, è intervenuta la madre di un bambino affetto da Sindrome di Rett, davanti alle troupe televisive. È stato quindi per noi un momento particolarmente critico, in cui abbiamo provato a rispondere pubblicamente alle sue obiezioni accettando al contempo la sua sofferenza e le sue speranze di madre preoccupata per la salute del proprio figlio. L'impossibilità di negare l'esistenza delle malattie umane e l'esistenza di una fede irrazionale nella ricerca medica si sono presentate qui in modo radicale e drammatico. Questo episodio ha mostrato che tali questioni non possono essere eluse dagli antivivisezionisti. Per inciso, nel caso specifico, gli argomenti scientifici (la vivisezione non serve a trovare un rimedio per la Sindrome di Rett) ci sono sembrati di scarsa utilità, proprio perché avevamo di fronte una madre disperata che vedeva nella ricerca l'unica via d'uscita. Naturalmente, la grande sfida è quella di mostrare come la disponibilità individuale a sacrificare un topo per il bene dei propri cari sia comprensibile tanto quanto quella di sacrificare un bambino sconosciuto. Tale disponibilità, anche se emotivamente comprensibile, non può fondare un principio di legittimazione sociale alla sperimentazione: abbiamo cercato di mostrare come tale legittimazione abbia luogo nei confronti degli animali non umani ma non nei confronti degli umani. In una società specista come la nostra, l'esigenza di questa madre giustifica collettivamente la reclusione e la tortura di topi o conigli, ma non di altri bambini (non apertamente, almeno)3.
La pressione continua ed investe anche le ditte fornitrici degli arredi di laboratorio, che si trovano a dover far fronte a proteste, presidi e ad un allucchettamento durante lo scarico dei materiali (una delle ditte dichiarerà poi pubblicamente di non voler più stipulare contratti per forniture legate alla vivisezione). Offensiva all'Uninsubria interviene durante l'Open Day dell'università, rivelando la realtà atroce della ricerca agli studenti delle scuole superiori venuti ad informarsi sui corsi universitari, durante le celebrazioni per il decennale dell'ateneo, in particolare il 14 luglio, quando un presidio nazionale vede la presenza del ministro dell'interno Maroni contestata come segno tangibile del legame pratico e ideologico che c'è fra le varie forme di discriminazione, fra specismo e razzismo, fra vivisezione e deportazioni di umani4.
In questa fase è emerso in modo più chiaro il desiderio di affrontare temi, come l'antirazzismo, che spesso nei gruppi antispecisti sono dati per scontati. Abbiamo cercato di affrontarli concretamente, partecipando a momenti di mobilitazione specifici, proponendo riflessioni sui nessi fra sfruttamento umano ed animale, o anche solo discutendone fra di noi. La prospettiva non è mai stata quella di trovare e proporre una teoria “unificante” che riconducesse tutti i mali del mondo allo specismo, ma di esplorare nella pratica quale fosse il significato, per noi, di avvenimenti come le leggi contro gli immigrati, i tagli alle università o la repressione in Tibet, e cosa potessimo avere da dire in merito. In un certo senso, l'idea sottesa è che attivisti per i diritti degli animali umani e non umani hanno molto da imparare gli uni dagli altri.
La campagna contro Uninsubria viene poi sospesa. I motivi sono di diverso tipo. Innanzitutto, la conferenza pubblica, che avrebbe costituito un primo risultato tangibile, viene rimandata in eterno dal sindaco, nel momento in cui calano la pressione, l'attenzione mediatica e l'interesse del mondo animalista in tutta Italia. In secondo luogo, gli attivisti fanno enorme fatica ad ottenere i protocolli di ricerca per via legale: tali documenti sono necessari per impostare la conferenza stessa. La richiesta di stipula di una convenzione con il vincolo di non utilizzo di animali si rivela giuridicamente non percorribile. Nel frattempo, pur avendo suscitato interesse negli ambiti delle lotte sociali “antropocentriche”, la Coalizione non è riuscita a far decollare un progetto nazionale solido con altre campagne incisive quanto quella di Busto Arsizio, ed anche localmente l'ambiente dell'animalismo radicale cui si è principalmente rivolta si è mostrato poco ricettivo, privilegiando il modello della “classica” campagna di pressione/boicottaggio (per contro, si è rivelata come esperienza molto positiva quella del rapporto con i militanti locali della Lega Anti Vivisezione). Soprattutto, si evidenziano visioni diverse della lotta fra gli attivisti stessi. Da una parte, si apre una discussione sull'opportunità e le forze necessarie a condurre una campagna di pressione volta ad ottenere risultati immediati, contrapposta alla necessità di lavorare contro la vivisezione come problema strutturale e politico; dall'altra, viene affrontata la diatriba fra antivivisezionismo scientifico ed etico, diatriba che fin dall'inizio condiziona i comportamenti quotidiani della campagna, con un progressivo abbandono degli argomenti scientifici nei volantini, negli interventi pubblici, nel dialogo con gli studenti (torneremo su questo in seguito).
Il modello della rete di gruppi si è rivelato non praticabile nel modo in cui era stato ipotizzato anche perché si è pensato di poter sviluppare varie campagne a partire da una campagna-pilota, senza rendersi conto che quest'ultima aveva peculiarità tali da renderla difficilmente esportabile, e che si fondava su una buona conoscenza del territorio e del contesto politico ed accademico locale. Tuttavia, l'idea che la lotta contro specifici programmi di ricerca o di finanziamento si avvalga del mutuo appoggio di gruppi dislocati sul territorio è da approfondire, anche quando questi gruppi si muovono in modo diverso a seconda dei differenti contesti.
Particolare approfondimento meriterebbe poi il problema di coniugare obiettivi a lungo termine con obiettivi intermedi. Infatti, uno dei compiti più stimolanti ma anche più complessi è quello di dichiarare e conseguire obiettivi a breve termine verso l'abolizione della vivisezione, senza snaturare il significato antispecista di una lotta a lungo termine. Alcuni di questi obiettivi possono non essere neppure specificatamente abolizionisti, nel senso che derivano dall'urgenza di salvare animali, di sollevare dibattito pubblico o di ampliare il consenso verso la liberazione animale. Per esempio, la richiesta di condurre una sperimentazione con metodi “alternativi” può essere formulata senza presentare tali metodi come incruenti “in assoluto” (poiché possono comunque essere criticabili da molti antispecisti sotto vari aspetti), ma solo come un miglioramento relativo all'interno di un contesto scientifico autoritario, come un'iniziativa volta a salvare la vita di singoli esseri senzienti. La mobilitazione per un confronto con i vivisettori, analogamente, può essere condotta non come “trattativa” che implichi il riconoscimento del loro ruolo sociale, ma come occasione per smascherare la volontà di non confrontarsi da parte delle autorità accademiche, o come proclamazione esplicita del carattere etico e politico di una pratica che gli scienziati vorrebbero considerare esclusivamente tecnica (e quindi di loro competenza anziché di competenza di tutte le persone, comprese quelle che in qualche modo cercano di incarnare la voce delle vittime non umane), o ancora come possibilità di proporre ad un pubblico più vasto la critica etica e scientifica della vivisezione senza dover passare per le banalizzazioni o le falsificazioni dei mezzi di comunicazione di massa.
Fra questi obiettivi intermedi, le richieste di trasparenza e di dibattito pubblico assumono un particolare rilievo. Nonostante diversi errori di valutazione, la richiesta di aprire i laboratori al pubblico e la pressione per ottenere una conferenza patrocinata dal Comune hanno avuto un forte valore simbolico e politico: nel richiamare le istituzioni alle proprie responsabilità; nel costringere i ricercatori a giustificare le proprie pratiche; nell'incoraggiare le persone “comuni” a mettere in discussione le decisioni politiche calate dall'alto.
Tali contraddizioni legate all'uso di animali nella ricerca sono state sollevate anche a partire dal ruolo della scienza nella nostra società, ruolo che viene presentato come liberatorio, emancipatore, democratico. Una particolare attenzione è stata quindi dedicata a mostrare come in genere la pratica scientifica si svolga in contrasto con valori come il libero dibattito, il libero accesso alle informazioni, lo spirito critico. Nel fare ciò si è voluto incoraggiare le persone escluse dall'ambito della pratica scientifica a prendere parola senza delegare ogni scelta agli specialisti, ed in particolare senza delegare una serie di scelte che appaiono come scelte di natura scientifica ma sono in realtà di natura etica o politica (a partire, naturalmente, dall'uso di esseri senzienti).
Spunti da approfondire provengono anche dal particolare rapporto instaurato fra la campagna e le associazioni animaliste protezioniste o para-istituzionali. Considerando le nostre esperienze pregresse come militanti provenienti dall'attivismo di base, di matrice perlopiù anarchica – la scelta di non contrapporsi a tali organizzazioni ha rappresentato una novità che ha portato significative soddisfazioni, a livello umano e politico: le differenze di approccio sono emerse chiaramente e, non senza tensioni ed incomprensioni, hanno reso più incisive le iniziative portate avanti parallelamente o, in alcuni casi, organizzate da un gruppo ma con la partecipazione attiva dei membri di altri gruppi.
La discussione interna sull'antivivisezionismo scientifico ed etico non è invece facilmente sintetizzabile5. Alcuni di noi erano convinti che l'uso degli argomenti non etici in senso antispecista indebolisse la causa. Alcuni erano preoccupati nel trovarsi a sostenere motivazioni tecniche che non provenivano dalla propria formazione, bensì da quella di ricercatori che non si è in grado di valutare dal punto di vista scientifico. Altri non volevano piegarsi alle precedenti obiezioni non perché in disaccordo, ma perché non disponibili a privarsi di un argomento forte come quello dell'inutilità della vivisezione (vero o falso che fosse). Altri ancora respingevano tali obiezioni perché sostanzialmente in linea al presupposto "vivisezione = falsa scienza".
Al di là dei termini della questione, vorrei sottolineare come in Italia esista una sorta di tabù in merito, tale per cui sia le grandi associazioni che i gruppi radicali scelgono sostanzialmente di non discutere il tema, nel timore di “creare divisioni” o di abbandonare percorsi di lotta radicati da anni. Il nostro rifiuto di eludere la questione deriva certamente dalla nostra attenzione ad una serie di contributi teorici prodotti in Italia negli ultimi anni, ma ha avuto il pregio di misurare la fecondità di tali contributi in una pratica di lotta concreta, generando domande e sfide tuttora aperte. È possibile abbandonare argomenti ritenuti antropocentrici a prescindere dalla loro verità? È possibile fare controinformazione antivivisezionista utilizzando argomenti puramente etici? È auspicabile un confronto con i vivisettori su queste basi? (laddove tradizionalmente si tratta di un confronto sul terreno scientifico)
Infine, vorrei spendere due parole sui rapporti fra le attiviste e gli attivisti di Offensiva all'Uninsubria, perché in qualche modo anche la natura di tali relazioni, l'organizzazione interna ed i processi decisionali hanno costituito un'esperienza significativa per gruppi di piccole dimensioni. Fin dall'inizio la campagna è stata condotta con un sostanziale rifiuto della delega, tramite la prassi della discussione collettiva di ogni aspetto della lotta, scegliendo di prendere le decisioni perlopiù all'unanimità. Tale prassi ha in alcuni casi dovuto sacrificare alla coesione del gruppo ed al rispetto dei perplessità personali la necessità di agire in tempi brevi dettati da fattori esterni (il Comune, l'Università, la stampa, ecc.): questo ha costituito il maggiore limite dell'orizzontalità nell'organizzazione. La delega è stata fortemente limitata cercando di far ruotare compiti quali gli interventi pubblici, le contestazioni alle autorità, le presentazioni della campagna (probabilmente non abbastanza). Una particolare cura è stata messa nella stesura dei testi: comunicati, volantini, lettere pubbliche alla controparte sono stati elaborati in modo via via più collettivo. Anche questa pratica ha determinato spesso lentezza e dispendio di energie, ma ha portato vantaggi incalcolabili in termini di crescita personale, conoscenza individuale delle tematiche, coesione del gruppo riguardo ad una serie di temi che sono stati approfonditi ricercando formulazioni pubbliche che sintetizzassero o rispettassero le diverse posizioni presenti fra noi.
La sospensione di Offensiva all'Uninsubria coincide con l'elaborazione di un progetto di portata più ampia, “BastaVivisezione”, che, pur mantenendo l'attenzione alta sulle vicende locali, intende svolgere il ruolo da una parte di osservatorio sulla realtà della vivisezione, e dall'altra di stimolo per iniziative di ampio respiro fuori dalla logica dei “risultati immediati”. Rifiutiamo di fatto l'idea che la sperimentazione animale sia una pratica che possa essere smontata pazientemente pezzo per pezzo chiudendone le sedi fisiche una ad una. Questo nostro approccio deriva in parte dalla struttura generale della società, ma soprattutto dalla particolare funzione della vivisezione. Per esempio, le campagne fondate sull'erosione di segmenti di mercato tramite pressione e boicottaggio sembrano ottenere significativi risultati contro l'industria delle pellicce. Non riteniamo neppure di fare riferimento al solo mondo accademico, anche se esso rimane un ambito per noi privilegiato: da una parte si conferma l'analisi di cui sopra sulle sue peculiarità; dall'altra riconosciamo di averne sopravvalutato le potenzialità in termini di dialettica interna, di trasparenza, di conflittualità. Inoltre, la forte spinta alla privatizzazione degli atenei italiani di questo ultimo anno fa presagire una realtà in cui sarà sempre più difficile distinguere ricerca pubblica e privata.
Parallelamente, dobbiamo constatare che le possibilità di fermare singoli programmi di ricerca sul piano legale o del boicottaggio è remota, e non può comunque costituire il compito principale di un progetto politico che vede nell'uso indiscriminato degli animali un elemento portante dell'organizzazione sociale capitalista. Il compito prioritario di BastaVivisezione sarà allora quello di far emergere le contraddizioni che questa pratica di tortura si porta dietro: la disinformazione e la mancanza di trasparenza, la nozione di “benessere animale”, l'autoritarismo scientifico, il ruolo dei comitati etici accademici, le strategie di recupero delle istanze abolizioniste.
Quello a cui pensiamo è per esempio un momento di mobilitazione nazionale che ponga al centro l'impossibilità di accedere ai protocolli di ricerca, sulla carta accessibili al cittadino, ma in realtà ben nascosti. Il valore di tale contestazione pubblica è sia quello di favorire nella pratica l'ottenimento dei documenti da parte di chi conduce campagne specifiche, sia di mostrare che in tema di sfruttamento animale la democrazia è soltanto una formalità.
Accanto a momenti di questo tipo, la funzione di un osservatorio permanente dovrebbe essere quella di far emergere situazioni locali significative tramite mobilitazioni o appoggio ad iniziative già in essere. Ma, come si può vedere, siamo ancora in una fase di elaborazione generale del progetto. Momenti di discussione come questo possono dunque essere molto preziosi, in un ambito nazionale e non solo.